Nel mondo delle criptovalute, ogni blockchain è nata con un obiettivo specifico e un proprio set di regole, linguaggi e protocolli. Ethereum punta alla programmabilità, Bitcoin alla sicurezza e alla scarsità, Solana alla scalabilità. Ma questa frammentazione ha creato un problema evidente: l’interoperabilità. I bridge tra blockchain nascono proprio per colmare questo divario e permettere agli utenti e agli sviluppatori di muovere asset e informazioni tra reti eterogenee. Dietro questa semplice funzione si nasconde una complessa infrastruttura tecnica, fatta di smart contract, meccanismi di custodia, validatori, e molteplici modelli di sicurezza.
Cos’è un Blockchain Bridge e perché è necessario
Un bridge (ponte) tra blockchain è un sistema che consente il trasferimento di asset digitali, dati o logiche di esecuzione da una blockchain all’altra. Questo è fondamentale perché le blockchain non possono comunicare nativamente tra loro: ad esempio, Ethereum non può “vedere” cosa succede su Solana, né leggere il suo stato.
Nel contesto attuale del Web3, dove i progetti e le applicazioni si moltiplicano su più reti, i bridge sono infrastrutture critiche per abilitare:
- DeFi cross-chain, cioè l’interazione tra protocolli su blockchain diverse
- Utilizzo di asset su più reti (es. usare BTC in una dApp su Ethereum)
- Scalabilità orizzontale, delegando parte del carico computazionale ad altre chain
- Esperienze utente unificate, non legate a una sola rete
Architettura tecnica: modelli principali di bridge
1. Lock & Mint (Token Wrapping)
È il modello più comune e utilizzato. Prevede che l’utente invii il proprio token a un contratto smart o entità custodiale sulla blockchain di partenza. Il token viene bloccato (lock) e su un’altra rete viene emesso (mint) un token equivalente, chiamato wrapped token (es. wBTC su Ethereum). Questo modello è usato, ad esempio, dai bridge di Binance Smart Chain o Avalanche.
Pro: semplice, rapido, ampiamente supportato
Contro: richiede fiducia nel meccanismo di custodia
2. Burn & Mint (Token Redemption)
In questo modello, il token bridgato viene bruciato (burn) sulla chain di origine, e poi riemesso (mint) sulla chain di destinazione. Il processo è spesso usato per token nativi cross-chain progettati appositamente (es. nella rete Cosmos con IBC).
Pro: evita la congestione del lock; utile per interoperabilità nativa
Contro: più complesso da integrare; meno flessibile con token esistenti
3. Liquidity Pool-Based Bridges
Simili agli AMM (automated market maker), questi bridge utilizzano pool di liquidità su ogni catena. Quando un utente invia token, riceve immediatamente l’equivalente sulla chain opposta, attingendo alla liquidità disponibile.
Pro: rapidità di trasferimento, nessun wrapping
Contro: dipendenza dalla liquidità, rischio di slippage e front-running
4. Light Client e Proof-Based Bridges
Si tratta dei bridge più avanzati dal punto di vista della sicurezza. Utilizzano light client integrati nelle blockchain che possono verificare in modo autonomo gli eventi (proof-of-event) grazie a meccanismi crittografici come le Merkle proofs.
Esempi: cBridge di Celer, IBC di Cosmos, Near Rainbow Bridge
Pro: trustless, sicuri, decentralizzati
Contro: tecnicamente complessi, più lenti e costosi da eseguire
Sicurezza: il tallone d’Achille dei bridge

I bridge sono i bersagli preferiti degli hacker, poiché custodiscono enormi quantità di asset. I principali rischi includono:
- Compromissione del bridge centralizzato (es. Ronin Bridge: -625 milioni di USD)
- Bug nello smart contract che gestisce il lock dei token
- Errore nei meccanismi di verifica o nei validatori
- Wrapped token non supportati o non garantiti, che perdono valore
Secondo Chainalysis, oltre il 60% delle perdite totali in DeFi nel 2022 è stato causato da attacchi ai bridge.
Bridge noti e i loro ecosistemi
Nome Bridge | Reti Supportate | Meccanismo | Centralizzazione |
---|---|---|---|
Wormhole | Ethereum, Solana, BSC, Polygon | Lock & Mint | Semi-centralizzato |
Multichain | Decine di chain EVM | Liquidity Pools | Centralizzato |
Stargate | Ethereum, Avalanche, BSC, Arbitrum | Omnichain (LayerZero) | Decentralizzato |
cBridge (Celer) | Ethereum, Optimism, Arbitrum, più | Proof-based | Decentralizzato |
Cosmos IBC | Cosmos SDK chains | Light Client | Nativamente trustless |
Costi, tempi e user experience

Il tempo di trasferimento varia da pochi secondi (con liquidity-based bridges) fino a 10-30 minuti (con proof-based o light client). I costi possono includere:
- Gas fee sulla blockchain di partenza
- Commissione del bridge
- Fee sul wrapped token (in certi casi)
Per l’utente medio, queste complessità rendono ancora frustrante l’esperienza cross-chain, nonostante i miglioramenti progressivi in termini di UI e wallet compatibili.
Bridge e futuro dell’interoperabilità
L’evoluzione dei bridge è centrale nel passaggio dal Web3 come arcipelago di ecosistemi isolati a un Internet of Blockchains realmente integrato. Soluzioni come LayerZero, Axelar, Chainlink CCIP, e il già citato IBC di Cosmos, puntano a creare una standardizzazione dell’interoperabilità. Parallelamente, Ethereum sta lavorando su protocolli nativi di bridging tra layer 2, come l’EIP-5164.
In futuro, l’utente finale potrebbe non accorgersi neppure di stare utilizzando più blockchain: l’obiettivo è rendere i bridge invisibili e completamente automatizzati, simili alle API nel Web tradizionale.
I bridge tra blockchain sono oggi tra le infrastrutture più cruciali, ma anche più fragili del panorama crypto. Comprenderne il funzionamento tecnico, i modelli di sicurezza e le logiche economiche è essenziale non solo per chi sviluppa, ma anche per chi investe o utilizza quotidianamente le criptovalute. L’interoperabilità è la chiave per l’adozione di massa, e i bridge rappresentano il passaggio obbligato per costruire un ecosistema decentralizzato davvero connesso.