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IL CALAMAIO

di Armando Staffa

Vince Hauber era contento. La neve aveva imbiancato New York e, a poche ore dal Natale, gli addobbi stradali, avevano riempito la citta’ di luci e colori.
Park Avenue era, come al solito, brulicante di taxi gialli, ma quel giorno il loro andirivieni era addirittura piacevole.
La gente, in strada, piu’ propensa al sorriso e sembrava anche un po’ più lenta del solito.
Non c’era quella frenesia che caratterizzava, tutto l’anno, la metropoli.
Tutto era ovattato come la neve che, caduta copiosa tutta la notte, favoriva, con il suo tappeto soffice, un silenzio quasi irreale.
Maggie era a casa che l’aspettava. Sicuramente in ansia. Non aveva avuto modo di comunicarle in cosa fosse consistita l’eredità che aveva ricevuto.
Era stato convocato presso lo studio Smithson un paio di giorni prima. La lettera diceva che, insieme ad altri, i cui nomi non aveva mai avuto il piacere di sentir nominare, un illustre sconosciuto lo aveva elencato tra le persone beneficiare dei beni che, morendo, aveva lasciato.
Era comune, a New York, che accadesse una cosa del genere. Le continue ondate di emigranti avevano portato sul suolo americano, nei due secoli passati, milioni di persone.
Le famiglie si erano distribuite disordinatamente, in questo nuovo continente, sparpagliandosi tanto che, in alcuni casi, era impossibile ritrovare la benche’ minima traccia anche di un parente prossimo.
Ma talvolta capitavano fatti come questo: uno sconosciuto, che era riuscito in qualche maniera a ritrovare almeno sulla carta un gruppo di familiari, lasciava eredita’ di cui tutti erano all’oscuro.
Quella mattina si era alzato presto, come al solito. Era abituato a farlo. Il suo lavoro alla pompa di benzina cominciava, ogni giorno, alle sei. Non aveva potuto, per ragioni economiche, frequentare le scuole superiori ma si riteneva un fortunato.
Aveva incontrato Maggie. Come lui, non proveniva da famiglia benestante. Si erano fatti un po’ di cultura guardando la televisione.
Conducevano una vita tranquilla, senza molte ambizioni, ma con due bellissimi figli.
Ora stava tornando a casa con la sua eredita’.
Con la moglie, il giorno prima, avevano fantasticato su ciò che avrebbero potuto comprare con quel lascito.
Ah! Quanto si erano illusi.
Camminava sorridendo al pensiero di Maggie che gli avrebbe gettato le braccia al collo per complimentarsi e poi avrebbe assunto un’espressione amareggiata, venendo a conoscenza della verita’ su quella eredità. Non avrebbe mai potuto immaginare di cosa si trattasse.
Era solo un calamaio in cristallo e coperchio in argento, con ancora dell’inchiostro all’interno e di una penna d’oca. Due bei pezzi d’antiquariato.
Arrivo’ a casa canticchiando.
Maggie, dopo i primi istanti di sbigottimento, si fece una bella risata.
Certo! I soldi non gli erano molto amici! Non si sarebbero arricchiti mai! Ma comunque non c’era da lamentarsi, in fin dei conti qualcuno aveva pensato a loro e, dopotutto, quel calamaio era molto bello e avrebbe fatto la sua degna figura sul tavolo, nel salotto.
Cenarono felici, insieme ai figli. Era sabato. Vince aveva il turno libero.
S’era fatto tardi. Dopo aver guardato un po’ di televisione, moglie e figli erano già andati a dormire.
Seduto al tavolo, ammirava, affascinato, il nuovo arrivato. Prese tra le mani la penna d’oca. Era leggerissima eppure dava una sensazione di robustezza incredibile.
Alzo’ il coperchio del calamaio, che recava la sigla V.H., incredibilmente le sue stesse iniziali, e la intinse di inchiostro. Un impulso irrefrenabile spinse la mano sul foglio di carta e cominciò a scrivere.
Si meraviglio’ moltissimo, non aveva mai scritto in vita sua se non la sua firma sugli assegni, eppure la mano scorreva veloce e sicura. Non sapeva neanche cosa stesse scrivendo. Era troppo veloce, non riusciva a leggere.
Tento’ più volte di smettere, ma nulla, non c’era niente da fare….. la penna si tuffava nel calamaio e riprendeva a scrivere.
La mattina dopo sua moglie lo trovo’ addormentato su oltre mille pagine di un manoscritto che narrava la storia di una bambina tenuta segregata da una coppia i malviventi che gestivano una locanda, in Francia, frequentata da poveri, ubriaconi ed avventurieri.
La penna era tra le mani di Vince. Il titolo della storia era quasi illeggibile ma la firma era chiarissima: Victor Hugo.

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