The Wandering Village non è il solito gestionale urbano. È un progetto che rompe gli schemi e trasforma il concetto stesso di costruzione: non si tratta più di occupare uno spazio, ma di coesistere con esso. Il gioco ci chiede di fondare e far crescere un villaggio sul dorso di Onbu, un’enorme creatura vivente che attraversa un mondo contaminato da spore tossiche. Il risultato è un ibrido sorprendente tra strategia, narrativa ambientale e sensibilità ecologica, che riesce a distinguersi profondamente dalla massa di city-builder convenzionali.
The Wandering Village Recensione
Fin dai primi minuti, l’ambientazione si impone con forza. La Terra è ormai ostile, e l’unica speranza di sopravvivenza è affidarsi a Onbu, che vaga attraverso ambienti pericolosi come deserti, foreste velenose e zone industriali abbandonate. Ma non è solo un veicolo: è un essere senziente, con bisogni e stati d’animo propri. Questo introduce una dimensione di gioco del tutto nuova: ogni scelta del giocatore ha conseguenze dirette sulla salute e sul comportamento della creatura. Trivellare il suo dorso per estrarre risorse, per esempio, lo farà soffrire e perdere fiducia; curarlo e nutrirlo, invece, lo renderà più docile e collaborativo. Questa meccanica di interazione simbiotica rappresenta il cuore pulsante del gameplay.
La gestione del villaggio è strutturata con intelligenza. Si parte con poche risorse e un numero limitato di abitanti. L’acqua, il cibo, la medicina, la ricerca e la difesa vanno bilanciate con attenzione, soprattutto perché Onbu è in movimento, e ogni bioma attraversato cambia drasticamente le regole del gioco. Le decisioni devono essere rapide ma meditate, e ogni errore può trasformarsi in un effetto domino difficile da contenere. La gestione dei compiti e delle priorità tra i villager, unita alla scelta dei percorsi tecnologici, crea una progressione organica che premia l’efficienza ma non perdona l’improvvisazione.

Sul piano estetico, il gioco è una piccola gemma. La combinazione tra fondali 3D dinamici e sprite 2D disegnati a mano restituisce un’atmosfera poetica e malinconica. La varietà visiva dei biomi, la transizione tra giorno e notte, gli effetti ambientali come nebbie tossiche o piogge acide, sono resi con una cura artistica che valorizza ogni fase del viaggio. Onbu, poi, è animato con grazia: il suo respiro, il battito, gli sguardi, fanno dimenticare che si tratti di un elemento del gameplay e lo trasformano in un vero personaggio.
Anche l’aspetto sonoro è ben calibrato. La colonna sonora è discreta, ma sempre presente nei momenti giusti. Le melodie si fondono con gli effetti ambientali per costruire un’atmosfera sospesa, contemplativa. La mancanza di una narrazione esplicita è una scelta coerente: tutto è affidato all’osservazione, alla deduzione, agli eventi che emergono nel corso dell’esperienza. La lore è scritta nei paesaggi, nei comportamenti, nelle meccaniche stesse.

Nonostante i numerosi pregi, The Wandering Village presenta alcune limitazioni. Le opzioni gestionali avanzate sono piuttosto essenziali: mancano strumenti per analizzare in dettaglio i flussi di risorse, automatizzare i processi o personalizzare l’interfaccia. La visuale fissa può diventare frustrante nei momenti in cui servirebbe una maggiore flessibilità nella disposizione degli edifici. Inoltre, nella parte finale della partita, una volta sbloccate tutte le tecnologie e raggiunto un equilibrio stabile, il ritmo rallenta e può subentrare una certa ripetitività.
Tuttavia, ridurre il gioco a un elenco di feature sarebbe ingiusto. The Wandering Village va oltre la meccanica: è un’esperienza che invita alla riflessione sul rapporto tra uomo e natura, sulla sostenibilità, sulla fiducia reciproca. È un’opera che racconta senza parlare, che premia il rispetto e penalizza lo sfruttamento, che pone il giocatore di fronte a scelte etiche travestite da decisioni strategiche.

The Wandering Village è un city-builder atipico, coraggioso, emozionante. Non punta sulla complessità dei sistemi, ma sulla profondità del legame che riesce a creare tra il giocatore e il mondo che costruisce. Un viaggio lento e silenzioso, che lascia dentro qualcosa di più di una semplice vittoria. Un gioco che merita attenzione, anche solo per il modo in cui riesce a dare un’anima al terreno sotto i piedi.